ART ACTION ECCE DOMINA

Ecce Domina: Costruzione di una Comunità Femminista

Susan Harbage Page

 

Dreams desires inutile, depression, liberty to travel, toys, consapevolezza, veils, eggshells rosaries, power of women’s friendship.

Susan Harbage Page

Un gruppo internazionale di artiste che si autodefiniscono donne, riunite sul pratino all’inglese verde acceso della Villa Rospigliosi a Prato, in una frizzante giornata autunnale (Ottobre 9, 2021). Secondo la metodologia della presa di coscienza che ha origine dalla seconda ondata femminista e dal movimento per i diritti civili, formiamo un semicerchio. Il nostro settore di cerchio è immediatamente trasformato in un cerchio completo dagli spettatori presenti.  Balena rapida nella mia mente Womanhouse (1972), un’installazione artistica del primo femminismo curata in una antica villa da Judy Chicago e Miriam Shapiro, poiché il nostro incontro di oggi mi ricorda la scena in cui le partecipanti condividono le proprie storie rimanendo sedute a gambe incrociate sul pavimento del soggiorno della villa di L.A. Ripenso inoltre al lavoro del Combahee Women’s River Collective che era focalizzato sulle tematiche del femminismo lesbico di colore. Questo collettivo, con sede a Boston, espletò un’attività fondamentale sull’intersezionalità durante gli anni ’70. Quelle donne definirono un’analisi integrata dei modi in cui sesso, classe razza e genere sono interconnessi e di come i vari sistemi di oppressione simultaneamente hanno effetto sulle esperienze di vita delle donne.

L’idea è che ogni artista presenti un piccolo oggetto, come per esempio una padella, una foto, un giocattolo, una scarpa da tennis o la fotografia della nonna amata, che rappresenti una storia di vita personale riguardo i ruoli e gli stereotipi di genere. Una per volta ci facciamo avanti per presentare i nostri oggetti e raccontare la storia personale di ciò che significa quell’oggetto per noi e di come si ricollegano ai nostri ruoli di genere nella società, il nostro passato, il nostro presente e il nostro futuro. Un’artista dopo l’altra è osservata e assistita dal gruppo mentre in silenzio fa un passo avanti e mette il proprio oggetto su di un piccolo tavolino tondo coperto da una tovaglietta fatta all’uncinetto da Laura V. d. B. Facchini, che è l’organizzatrice e la forza motrice che sta dietro a quest’atto artistico Ecce Domina. Alcuni oggetti vengono appoggiati con delicatezza, mentre altri sono sbattuti violentemente sul tavolo con rabbia e collera. Dopo che ogni donna ha disposto il proprio oggetto sul tavolino, racconta la sua storia personale. Alcune storie sono presentate come racconti, altre come brevi poesie e altre ancora sono costituite da singole parole o frasi.

I racconti, pur non limitandosi solo ad essi, includono i seguenti temi: abuso sessuale, lavoro domestico, autovalorizzazione, amicizia, comunità, depressione, inutilità, gioia, viaggi e libertà. Le lotte personali e le vittorie ottenute dopo lunghe battaglie, sono rese pubbliche, alcune per la prima volta. Tutte dimostrano il modo in cui una società patriarcale e il suo potere ereditato abbandonino certe persone e ne appoggino altre, a seconda di come si intersecano il loro genere, la sessualità, la razza, la religione, il luogo in cui si sta e la cittadinanza.

Io stessa ho scelto di presentare un antico colletto di merletto fatto a mano con la poesia “From the Inside”, che ritengo un vero e proprio “archivio” femminista. In effetti secondo me, i merletti equivalgono ai libri e ai documenti che ritroviamo in una biblioteca. Rappresentano il modo in cui quelle donne hanno saputo creare cultura spesso prima ancora che la società e il sistema permettessero loro di imparare a leggere e scrivere. Questo pezzo di cultura materiale conserva la storia, l’impronta ed il lavoro di una donna “senza firma” che lo ha fatto probabilmente per regalarlo o forse per contribuire all’economia familiare. Confezionare merletti veniva spesso visto come una possibilità di conquistarsi l’autonomia nel tradizionale ambiente monastico, così come nel mondo secolare.  Per una donna costituiva una maniera onorevole di guadagnarsi la vita rimanendo all’interno delle mura domestiche.

Leggendo questi oggetti “contropelo” in modi nuovi, essi diventano una forma di conoscenza femminista che può essere usata per decolonizzare le nostre convinzioni egemoniche circa il passato. Questi oggetti possono parlare in tanti modi, unici della storia, la resistenza e la resilienza delle donne.

From the Inside

A needle as if it were a pen, the thread has the same fluidity.
The work parts from the inside, creating an archive.
It’s production throughout history empowers women
but at the same time it takes it away.

                        Susan Harbage Page

Un ago come se fosse una penna, il filo ha la stessa fluidità.

Il lavoro parte dall’interno, creando un archivio.

La sua produzione nel corso della storia dà potere alle donne,

ma allo stesso tempo la toglie.

                        Susan Harbage Page

Ci è stato chiesto di non dilungarci troppo nelle nostre presentazioni, affinché a ognuna di noi potesse essere concesso l’onore di essere ascoltata dal gruppo per lo stesso lasso di tempo.

Gli oggetti collettivi che abbiamo presentato diventano un archivio temporaneo di storie personali e storie che connettono fra loro le componenti del gruppo di donne. Questo atto di mutua co-testimonianza (di esperienza) è curativo e crea uno spazio che permette di recuperare le storie e le memorie da una prospettiva nuova nel contesto del gruppo. Alla fine dell’art action parliamo, ci abbracciamo, ridiamo e riportiamo al gruppo ogni storia acquisendo la consapevolezza di un background più ampio.

Gli oggetti messi insieme per questo momento formano un archivio femminista temporaneo e costituiscono un’archeologia di conoscenza raccolta da epoche, luoghi geografici e culture diverse. Questo archivio è una contro-cartografia o una contro-mappatura della vita, che consente degli spazi alle narrazioni che sono sì comuni ma che normalmente non circolano all’interno della cultura dominante. Rappresentano il controllo che abbiamo e quello che non abbiamo sul nostro corpo e la nostra mente.

Elisabeth Grosz, filosofa e teorica femminista, afferma nel suo libro ”The Nick of Time” (2004): “La Storia è una ‘ininterrotta revisione del passato alla luce della sua mutevole rilevanza nei confronti del presente’, sostenendo che la pratica della storia deve essere bilanciata tra una certa fedeltà al passato e l’esigenza di vivere nel presente nella gradita anticipazione del futuro’” [2] Tenendo presente ciò, ogni partecipante ha toccato un argomento che riguarda una battaglia personale o sociale o una vittoria del passato che lei comprende ora da una nuova prospettiva collettiva, poiché è stata condivisa in un contesto comunitario sicuro. Le nostre storie riflettono la gioia, il dolore, la valorizzazione e la devalorizzazione dei nostri ruoli e delle nostre storie in quanto donne nella società. Questa nuova narrazione delle nostre esperienze di vita ci permette di muoverci più liberamente nel futuro con una comprensione più profonda ed empatica delle nostre attuali condizioni sociali. Laura V. f. B. Facchini commenta: “Con questo gesto misuriamo il passato e tracciamo la via a venire”.  Alla fine della giornata andiamo via sapendo che il personale è anche politico.

Sappiamo che le comunità femministe possono dare potere tanto al collettivo quanto all’individuale per poter attuare un cambio politico che operi per raggiungere l’uguaglianza

Le artiste partecipanti erano:
Stefania Balestri, Cecelia Bassi, Myriam Cappelletti, Laura Castellucci, Stefania Corrocher, Gabriella Furlani, Susan Harbage Page, Rachel Morellet, Fabiola Moretti, Daniela Perego, Stefania Puntaroli, Nicoletta Ricasoli, Virginia Ryan, Eva Sauer, Laura Sciacovelli, Luciana Schinco, Antonia Trevison, Chiara Vignolini.